L’editio princeps di “Kënëkëz Pollithike”

(Canto politico) di Francesco Antonio Santori

Autorët

  • Oreste Parise
  • Merita Sauku Bruci

DOI:

https://doi.org/10.62006/sf.v1i3-4.3035

Abstrakti

Nonostante la marcia trionfale, il governo garibaldino sentiva montare un senso di ostilità nella società civile, molto più estesa di quanto le notizie che circolavano lasciassero supporre. Benché spinto dalle migliori intenzioni, i risultati erano ben inferiori alle promesse. A mano a mano che si procedeva nella guerra di conquista crescevano dubbi e incertezza sulle reali intenzioni dell’armata rivoluzionaria, con un crescente senso di inquietudine e sgomento per l’abisso che separa le intenzioni dalla realtà. Un caso eclatante si verificò a Bronte1 in Sicilia, feudo dell’Ammiraglio Orazio Nelson, ricevuto in dono per i servizi resi nel decennio francese quando i Borboni si misero sotto la protezione inglese2. I contadini di Bronte presero alla lettera l’editto di Garibaldi che concedeva loro la terra, e la occuparono. Nino Bixio intervenne con grande determinazione e ferocia falcidiando i dimostranti a colpi di carabina, per dare una lezione di realpolitik a quegli “squinternati” che avevano osato credere alle favole.

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References

  1. Comune arbëresh, che oggi ha perso la identità. Sono rimasti solo poche tracce linguistiche.

  2. L’intervento a protezione dell’accondiscendente Inghilterra può essere forse anche tollerato. Lo stesso però avvenne nel resto del territorio del Sud, dove i garibaldini intervennero con mano pesante a difesa delle proprietà dei baroni.

  3. Il governo dittatoriale non aveva certo il tempo e la voglia di legiferare con cognizione di causa: non ne aveva né la voglia né la competenza. Si procedeva con editti affrettati e senza una solida base di conoscenza della realtà: si trattava più di intenzioni che non di una legislazione ponderata che sarebbe stato poi compito del nuovo stato italiano, ma era l’estensione di quella sardo-piemontese.

  4. Era la prima volta che si sperimentava una elezione con un corpo elettorale così esteso. Fu subito evidente che si trattava di una votazione-farsa. Il decreto fu pubblicato pochi giorni prima e in molti comuni non pervenne mai, il testo del quesito era incomprensibile alla stragrande maggioranza dei votanti e non si garantiva alcuna segretezza.

  5. Calà Ulloa, 1863: 62-3.

  6. Guerzoni, vol. II, 1882: 217.

  7. De Sivo, vol. II, 1868: 299. Nella pagina successiva afferma che “permisero il voto a militari, monaci, magistrati, studenti, e a qualunque passasse per via: così potevan dare il voto stranieri, e garibaldini, e camorristi, e più volte in più collegi”.

  8. Tomasi di Lampedusa, 1985: 143.

  9. De Sivo, 1868: 311.

  10. Riportato in Sole, 2011: 40.

  11. Pisacane, 1894: 213.

  12. La figura del brigante assunse, per le popolazioni rurali meridionali, la veste del benefattore, quasi quella del portatore dei loro interessi, dal momento che nessun altro sembrava volere occuparsi di loro, anche se non è da escludere che talvolta il brigante fosse addirittura inconsapevole del ruolo che le plebi gli avevano riconosciuto e/o affidato.

  13. Non a caso, si è sviluppata nel tempo una certa tradizione che ha portato ad una sorta di mitizzazione di questo fenomeno, soprattutto grazie all'opera di cantastorie e poeti, i quali hanno inteso raccontare le gesta dei protagonisti, quasi a considerarli come dei Robin Hood italiani.

  14. Il voto unanime non rappresenta la volontà popolare, ma la capacità repressiva del potere.

  15. Tomasi di Lampedusa, 1985: 144.

  16. Le elezioni riguardavano solo i rappresentanti della Camera, mentre i senatori erano di nomina regia. Oltre 300 dei 443 eletti sostenevano il governo Cavour del Regno di Sardegna in carica.

  17. Il decreto di scioglimento reca la data del 16 gennaio 1861. Vane furono le proteste di Giovanni Sirtori, comandante del Corpo e dello stesso Garibaldi che ebbe un violento scontro con Cavour.

  18. Andreotti, vol. 3, 1874: 428.

  19. Attestazione con la quale si certificava la qualità di garibaldino emerito. Ibidem 1874: 423.

  20. Particolare importanza assume la questione silana oggetto di indagine del Commissariato civile per la Sila, di cui faceva parte il giudice Pasquale Barletta. Scrive Guarasci: «Il giudice Barletta non intese risolvere la causa con i fratelli Guzzolini, i quali non possedevano i titoli delle transazioni avvenute, ma che tuttavia mantenevano il possesso delle terre silane. L’opera del Barletta rimase comunque incompiuta per gli avvenimenti politici del 1860. Egli si fece ancora vivo con un rapporto al Ministro Quintino Sella, in cui si diceva che “in Sila vi era un proprietario possessore di oltre 1000 ettari occupati, debitore di oltre mezzo milione di arretrati per frutti, e che, per interruzione delle operazioni commissariali e per effetto di una nuova legge veniva assolto del tutto”, si trattava dello stesso Barone Guzzolini che durante gli avvenimenti del 1860 era divenuto il Capo del Comitato Insurrezionale di Calabria Citra a Cosenza. (Guarasci, 2017: 81, n.19).

  21. Manutengolo si definisce colui che aiuta un criminale nel compimento della sua azione. Nel periodo post-unitario assunse il significato di chiunque in qualsiasi modo aiutasse briganti o fuoriusciti fornendogli cibo, riparo, o qualsiasi forma di supporto per consentirgli di sopravvivere nelle disperate condizioni in cui si trovava. Furono definiti tali anche i familiari più stretti (padre, madre, fratelli e sorelle ecc.), nonché mogli o chiunque gli riservasse un saluto o gli prestasse soccorso in qualche modo fornendo un pezzo di pane o una benda per le ferite. Questo sistema ampliò in maniera esponenziale il numero degli oppositori provocando un asfissiante clima di sospetto e violenza che invelenì i rapporti sociali.

  22. È impossibile tentare di dare un carattere unitario al fenomeno brigantesco poiché mancò del tutto una organizzazione centrale e un capo riconosciuto per capacità e carisma personale. Il governo in esilio di Francesco II non aveva i mezzi e le capacità per fornire un adeguato supporto operativo. Il caos che regnava tra i nostalgici è ben rappresentato nel romanzo L’eredità della Priora di Carlo Aianiello.

  23. La spedizione dei Mille fece da apripista, ma fu una comparsa effimera che consentì ai piemontesi di conquistare il Regno in barba a qualsiasi principio di diritto internazionale.

  24. Nitti, 1899.

  25. In un libretto anonimo e senza data illustrato con immagini oscene, i briganti erano descritti come dei pervertiti assetati di sangue e di sesso il cui unico obiettivo era quello di vivere allegramente vessando la povera gente. Il libretto ebbe una diffusione notevole per il carattere morboso che intendeva distruggere l’immagine del brigante come un vendicatore dei torti subiti dalla povera gente indifesa. (Adespoto s.d.)

  26. Le armi e i depositi di munizioni erano stati requisiti dai piemontesi. Nel loro dorato rifugio a Roma, nel Palazzo Farnese, non avevano la possibilità di ammassare armi, né disponevano di grandi disponibilità finanziarie poiché il tesoro statale era rimasto a Napoli e le loro proprietà passate nelle mani del governo unitario.

  27. Misasi, 1906: 61.

  28. Misasi, 1906: 6.

  29. Barbero, 2014.

  30. O’ Clery, 1875: 318-9.

  31. Ibidem. L’evidenza come questa è incontrovertibile, provenendo dalla bocca degli stessi uomini che sono stati i più attivi nel costruire la cosiddetta unità d’Italia.

  32. Secondo quanto riportato da Antonio Guarasci nel periodo 1876-1905 dalla sola Calabria emigrarono 478.052 persone! (Guarasci, 2017: 97).

  33. Nitti, 1887.

  34. “In nome dell'Italia e di Vittorio Emanuele: 1. È abolita la tassa sul macinato per tutte le granaglie eccettuato il frumento, pel quale è conservata la tassa esistente nei diversi comuni. 2. Il prezzo del sale è dalla data di quest'oggi ridotto da grani otto a grani quattro per ciaschedun rotolo. 3. Gli abitanti poveri di Cosenza e Casali esercitino gratuitamente gli usi di pascolo e semina nelle terre demaniali della Sila. E ciò provvisoriamente sino a definitiva disposizione.”

  35. Goyau, 1898: 83.

  36. Una stoppellata di terra era pari a circa 1000mq, mentre la tomolata un terzo di ettaro (3.300mq).

  37. Du Camp, 1862.

  38. Kotat, come si esprime il Santori. Quote, (dal calabrese cota o cuota -it. quota). Dicesi più specialmente quella porzione di terreno spettata a ciascuna famiglia di un comune che censuì ai suoi abitanti qualche podere proprio, o cedutogli dal Demanio. (Accattatis)

  39. Lombroso, 1898: 92.

  40. Piromalli, 18 - § 5.

  41. «Dalla fine del quattrocento essi avevano acquistato fama di coraggiosi cavalli leggieri sotto il nome di stradioti. Come tali, allora e in seguito, si trovano in Puglia al servizio dei re Aragonesi, della Repubblica di Venezia e della Spagna.» (Panareo, 1939: 333).

  42. Papa Leone X, in una bolla del 1521, scrive: « ...Ordinari locorum latini ipsam nationem superdictis ritibus et observantiis in locis ubi praedicti Graeci morantur, quotidie molestant perturbant et inquietant.».

  43. Vedi: Parise, 2018.

  44. Vedi: Parise, 2014b.

  45. Era sorto prima quale Collegio Corsini a San Benedetto Ullano, in seguito trasferito a San Demetrio.

  46. Erano di nazionalità austriaca. Il padre, appreso l’avvenimento, si dimise dalla Marina austriaca e si ammalò. Morì nell’autunno dello stesso anno.

  47. Il padre Francesco era un ammiraglio della marina austriaca e la loro madre – Anna Bandiera Marsich – faceva parte dell’entourage della regina austriaca. Come sosteneva l’avv. Cesare Marini ai sensi degli accordi internazionali vigenti all’epoca, la procedura più corretta sarebbe stata l’estradizione, lasciando a Vienna il compito di giudicarli. I Borboni preferirono agire immediatamente per non creare imbarazzo all’Austria ritenendo che una conclusione immediata della vicenda avrebbe evitato che diventasse un caso europeo. Ciò si verificò lo stesso, con l’unica conseguenza che le ripercussioni negative caddero solo su Ferdinando II, assassino della libertà.

  48. Molto famosi e ricordati sono i 500 volontari di Lungro che, al comando di Vincenzo Stratigò, si unirono al corpo dei volontari garibaldini.

  49. «Il Dittatore dell'Italia meridionale in considerazione dei segnalati servizi resi alla causa nazionale dai prodi e generosi albanesi, decreta: cessati i bisogni della guerra e costituita l'Italia con Vittorio Emanuele dovrà il tesoro di Napoli somministrare immediatamente la somma di 12 mila ducati per l'ingrandimento del collegio italo-greco di S. Adriano. Io pongo sotto la garanzia della Nazione e del suo magnanimo Sovrano la esecuzione di giustizia del presente decreto. (f.to: Giuseppe Garibaldi».

  50. Scrive De Rada: “Così il Collegio nostro splendido, autonomo, prese sembiante d'una casa all cui genitori comandan stranieri. E quando, per esser stato esso sempre focolare di libertà, divampò fuora incautamente, preso in odio e non soccorso, o appena dal Papa, perdè anche la pace interna che bisognavagli. E restò una nave senza, davvante, luogo d'approdo, e logorata da' venti e dalla calma consumatrice. E questa spoliazione divenne anche più desolante, dentro la unificazione d'Italia. Se vogliamci bene o male se 'l sanno essi: questo che manifestamente ci sta inanti è che fuori di Garibaldi che gli Albanesi conobbe da presso nel campo e lor volle bene, i tanti Ministri del nuovo regno che di essi non curò, chi volle perderli. Il Ministro Scura, un Albanese da Vaccarizzo, volle e confidò di tornare il Collegio agli Statuti suoi fondamentali autonomi, ed al diritto primiero. Ma poichè ei fu presto morto, il Governo non si lasciò quello uscir di mano. Il Ministro Mancini, o che non ebbe capito il decreto di Garibaldi, o che finse non intenderlo, ne impedì la retta esecuzione, respingendo il parere del Consiglio di Stato ov'erano tanti uomini più seri di lui, ed un decreto del Re stato con lui sì generoso.” Si veda: Girolamo De Rada, “Kuventi i Arbresh (Il Colleggio Albanese) in Fiamuri Arbërit, Anno I Num. 10, 30 luglio 1884, Corigliano Calabro, pp. VI-V.

  51. Ferrari, 1960.

  52. Lombroso, 1898: 41-42.

  53. Parlamentari arbëresh furono Francesco Crispi, Domenico Mauro, Federico Seismet Doda, Giovanni Mosciaro, Giuseppe e Vincenzo Pace, Domenico Damis, Raffaele Majerà, Guglielmo Tocci. Tra questi non sono menzionati i fratelli Sprovieri, Vincenzo e Francesco cui si è accennato sopra, cittadini di Acri ma di cultura arbëresh per via della madre.

  54. Sprovieri, 1894: 95.

  55. Per una legge di tutela delle minoranze linguistiche bisognerà aspettare il 1999, che ha avuto uno scarso impatto sulle comunità arbëresh la maggior parte delle quali sono avviate verso un inesorabile declino. Garibaldi aveva tentato un rilancio del Collegio di Sant’Adriano, ma la sua volontà fu osteggiata dal governo nazionale (vedi sotto).

  56. Nella maggior parte dei centri arbëresh lo spirito democratico si manifestò nella caparbia adesione ai partiti che si opponevano al governo nazionale e crearono una piccola enclave rossa à pois.

  57. Fondò il periodico “Fjamuri Arbërit” (1883-1887) che per un quinquennio tenne vivo l’interesse europeo per la lotta Albanese contro la Sacra Porta.

  58. Acceso filo-albanese ebbe un ruolo importante in tutta la metà del secolo XX quale membro governativo. Fu fucilato dai comunisti di Enver Hoxha quale collaborazionista con i fascisti.

  59. Fondò e diresse la rivista “La Nazione Albanese” come strenuo sostenitore della lotta di liberazione Albanese.

  60. Parise, 2013c.

  61. Nessuno di questi mosse un dito per impedire la grande strage del Mezzogiorno senza regole e umanità. Sostennero alquanto blandamente le ragioni dei contadini meridionali, ma la loro preoccupazione fondamentale fu quella di difendere i propri privilegi chez eux, senza disturbare troppo il manovratore che avrebbe potuto giocare loro qualche brutto scherzo.

  62. Sprovieri, 1894: 95.

  63. Nella sua lucida analisi mancava ogni riferimento alla questione agraria, poiché si concentrava sugli aspetti dibattuti nei consessi europei.

  64. Le condizioni stanno migliorando molto lentamente in Napoli, e vi erano a quel tempo almeno i venti mila prigionieri politici stipati nelle prigioni di quella provincia. (Lennox ,1863: 1)

  65. Week after week unoffending citizens are dragged out of their beds by the police at midnight, are flung into dungeons, not cleanly enough to serve as a cow-house in England, and there lay forgotten for months-nay, for years, untried and uninterrogated. (Lennox, 1863: 5)

  66. The partizans of the Italian Government are constantly asserting that there is but one mind in Italy, that there are no Bourbonists to be found, that such a thing as a Muratist cannot be discovered, that republicans have ceased to exist, and that there is but one cry, and that is, for a United Italy under Victor Emmanuel. If that be so, the cruelty of the Government, is only the more indefensible. (Lennox, 1863: 5) (I sostenitori del Governo Italiano asseriscono costantemente che vi è un solo pensiero in Italia, non vi si possono trovare Borbonici, o non si può scoprire qualcosa di simile ai Murattiani, che i repubblicani hanno cessato di esistere, e vi è solo un grido, ed è per l'Italia Unita sotto Vittorio Emanuele. Se così fosse, la crudeltà del governo sarebbe ancora maggiore.).

  67. Per questa ragione le poesie e le canzoni di protesta erano prevalentemente scritte in dialetto e declamate in ambienti familiari o paesani. Santori stesso scrisse il suo canto di protesta ma lo tenne ben nascosta in attesa di tempi migliori. La stessa decisione di non tradurla in italiano può essere spiegata con il suo desiderio di non urtare la suscettibilità dei simpatizzanti del nuovo regno.

  68. Non m'importa se tali atti oscuri si compiono sotto il dispotismo di un Borbone o sotto lo pseudoliberalismo di un Vittorio Emanuele. Quella che si chiama Italia unita, deve principalmente la sua esistenza alla protezione e al sostegno morale dell'Inghilterra - più a questo, che a Garibaldi o anche alle vittoriose armate di Francia - e quindi in nome dell'Inghilterra, denuncio la commissione di tali barbare atrocità, e protesto contro la palese prostituzione dell'egida della libera Inghilterra.

  69. «Nel Sud del Regno è stato instaurato un sistema sanguinario, a cui va posto un limite. Non è continuando a versare sangue che può essere ristabilito l’ordine. Non è giusto che ogni individuo che nelle province meridionali indossa una divisa, debba ritenere di avere il diritto di uccidere impunemente chiunque non la indossi.» Questo assurdo arbitrio costituisce il leitmotiv del romanzo L’eredità della priora di Carlo Aianiello. Le due biografie di Nino Bixio scritte rispettivamente da Giuseppe Guerzoni e Giuseppe Cesare Abba si fermano all’esaltazione dell’eroe risorgimentale con qualche timido riferimento al suo impegno politico e nessuno dei due fa alcun cenno alla sua critica della gestione scellerata della fase post unitaria nel Sud.

  70. Disponibile online: http://www.storiadellaletteratura.it/main.php?cap=0

  71. Gli autori arbëresh sono ignorati, ad eccezione di Domenico Mauro considerato uno scrittore italiano avendolo utilizzato in tutte le sue opere.

  72. Crupi, 1995: 330-338.

  73. “Governo infame”. Calogero, 2004: 133-153.

  74. Gambino, 1977: 110-117.

  75. Ringraziamo di cuore l’ amico Luigi Costanzo che ci ha consentito di consultare la sua ricca raccolta di opere dialettali (sicuramente una delle più numerose oggi esistenti), da cui abbiamo potuto trarre queste notizie. Ci siamo limitati a pochi libri tra le migliaia che costituiscono la sua ricca biblioteca. Ringraziamo altresì Antonio Chiarello per gli utili suggerimenti e la fornitura di documenti che ci hanno consentito di arricchire la ricerca con materiale non facilmente reperibile; Vincenzo Perrellis e Costantino Bellusci per la collaborazione a risolvere alcune difficoltà di comprensione del testo.

  76. Per un’ampia bibliografia sulle opere in dialetto calabrese consultare Li Gotti, 1968.

  77. Una versione molto nota è della “Nuova Compagnia di Canto Popolare”, che si può ascoltare su Youtube: (https://youtu.be/uLF0jvUKiUI)

  78. https://www.youtube.com/watch?v=WTgjhMfLzHc

  79. Espressione dell’ex presidente della Repubblica italiana Giuseppe Saragat, dopo un inaspettato insuccesso elettorale.

  80. Fu una battaglia sanguinosissima. Il “rosso magenta” è quello assunto dal fiume Ticino per effetto del sangue dei morti.

  81. Come in quasi tutte le sue opere il Santori non appone alcuna data nei manoscritti, ma vi è la ragionevole ipotesi che la sua redazione è tra il 1860 e l’anno successivo, quando iniziò a scrivere l’Emira. Il romanzetto fa parte della triade pubblicata nel 1985 da Fortino, Stamile e Tocci.

  82. Kolluqi > Nikolluqi > Nikolla; Nicola > Nicoluccio – Coluccio.

  83. Nel 1848 Ferdinando II aveva mandato un contingente di truppe al comando del Gen. Pepe a sostegno del Piemonte, nel 1859 Napoli si mantenne neutrale. Considerato il carattere cronachistico delle opere di Santori, egli avrà certamente saputo della partenza di qualche volontario a sostegno della causa italiana.

  84. “Mir se vjēn, formadhi zot, “Che tu sia il benvenuto, o leggiadro signore.

  85. me kto lule një kurōr Con questi fiori penso intessere una corona

  86. pjeksinj trimit çë të vinj a quel giovinetto che ritornerà

  87. pjono hjē ka Llombardia, glorioso dalla Lombardia

  88. çë të thēt se nxuorëtin il quale assicuraci di avere

  89. tej tutje të huojin, respinto lontano lo straniero

  90. bëtin një Italliezën.” e che abbia unificato l’Italia.”

  91. Si veda: Fortino, Stamile, Tocci 1985, p. 69, 134.

  92. «Paft gjēll, shëndet e mīr / Ghariballdhi e Madhia shpī / të Sabaudes e Mëreti / Napoljon e Itallja / cila bë̄ ë̄ n po se të jēt / gjind je madhe si një hēr / qe je hjeshëm e pjot fuqī / zonja e t’Europjes»

  93. (Abbiasi vita, saluta e bene Garibaldi e e la gran Casa Sabauda e l’Imperatore Napoleone e l’Italia, la quale si adopera a costituirsi, / come un tempo la fu, a grande Nazione e veneranda Signora dell’ Europa.)

  94. Ibidem, p. 124, 179.

  95. Ibidem, p. 125, 179.

  96. All’apertura del Parlamento sabaudo nel gennaio del 1859, Vittorio Emanuele II pronuncio un discorso divenuto famoso nel quale affermava di non essere insensibile al grido di dolore che gli proveniva da ogni parte d’Italia e avrebbe posto ogni sforzo per esaudire questa profonda esigenza dei popoli d’Italia.

  97. Il termine brigante non è mai utilizzato dal Santori, né in arbëresh (brigant), né nella traduzione italiana, ma usa bandito, che è colui che è posto al bando per aver commesso dei reati comuni. Questo vorrebbe significare che il cosiddetto brigantaggio era solo un fenomeno criminale, ma non politico. Nell’Emira, infatti, egli si occupa di un piccolo mondo sconvolto dall’azione di delinquenti che approfittano del disordine per commettere le loro scelleratezze.

  98. Fu mandato in Calabria da Cavour per debellare il brigantaggio. Gli regalò una copia del diritto penale, ordinandogli di farne tesoro. Come ebbe modo di dichiarare alla fine del suo mandato, lo aveva conservato intonso sul comodino per non sciuparlo. Nell’esecuzione del suo compito si dimostrò implacabile e crudele, senza alcun rispetto di regole, leggi o remore morali provocando una vera e propria carneficina compresi i tredici martiri di Santa Caterina Albanese che diedero a Santori lo spunto per scrivere il suo dramma Emira.

  99. Santori, 2018: 141.

  100. Per ironia della sorte, l’accusa più infamante che ricade sui Borboni (e una delle cause della loro rovinosa caduta) e lo spergiuro costituzionale che ha portato alla formazione di un governo poliziesco. Il popolo era convinto di essere finalmente riuscita ad ottenere la libertà politica. Si ritrovò in un regime militare: dalla padella borbonica si ritrovò sulla brace dei Savoia!

  101. Per avere una idea si riporta la popolazione delle principali località nominate nell’Emira nello stesso Dizionario dei comuni (in ordine alfabetico): Cerzeto 2942, Cervicati 1571, Fagnano 3931, Mongrassano 2270, Roggiano 4191, S. Marco 4239, S. Martino, 1990.

  102. In arbëresh sono gli abitanti delle pushtjerë, le terre poste sotto i centri abitati, in gran parte poste sulle falde dei monti a scopo difensivo. Nelle campagne vennero costruiti edifici a presidio dei territori contro le incursioni saracene. Nelle zone più sottoposte a rischio vi erano delle vere e proprie torri di avvistamento. I contadini che vi abitavano erano detti turrieri. Nel vocabolario del dialetto siciliano di Pasqualino (vol. V 1795: 268) si legge: «Turri, edificio eminente, per lo più- quadrangolare, assai più alto, che largo, fatto comunemente per propugnacolo, e per fortezza delle terre.»

  103. (Santori, 2018: 111)

  104. Santori, 2018: 147.

  105. Santori, 2018: 151, 153.

  106. Santori, 2018: 363.

  107. Santori, 2018: 521.

  108. Lombroso, 1898: 86-92.

  109. Come detto ripetutamente la cronologia della redazione delle opere non è nota. Si deve parlare piuttosto di una congettura basata sulla logica.

  110. Si veda: https://www.fondazioneuniversitariasolano.it/wp-content/uploads/2019/05/ F.-A.-Santori-LE-SATIREmanoscritto-OPT.pdf., pp. 26-34.

  111. Ibidem, p. 34.

  112. Sulla presenza dei manoscritti deradiani e santoriani nella Bilbioteca Civica di Cosenza rimandiamo al (Bruci, 2011: 30-31)

  113. Il Canto politico è sicuramente posteriore al 1861. Il riferimento alla iniqua tassazione lascia pensare al tempo di Quintino Sella e del pareggio di bilancio del 1876 ottenuto con una spremitura a freddo della popolazione più misera con la tassa sul macinato, e gli altri balzelli che colpivano i beni necessari alla sopravvivenza. Erano passati tre lustri dall’Unità, ma le condizioni delle regioni meridionali erano ancora drammatiche, in netto peggioramento rispetto ai tempi “bui” dei Borboni. La grande fuga del Sud non era ancora cominciata, poiché Santori non ne fa alcun cenno, ma si avvertivano crudamente i morsi di una depressione profonda e di lungo termine. Questo lascia supporre che la canzone sia stata scritta in uno degli anni immediatamente successivi alla nascita dell’Italia (1861-2), nel momento di maggiore virulenza della carneficina sociale, nell’acme nera dell’Apocalisse post-unitaria.

  114. A proposito delle diverse scelte alfabetiche santoriane si puo consultare per informazioni dettagliate: (Bruci, 2012: 73-90).

  115. Lettera al De Rada, S(an) Caterina Albanese, 16 aprile (18)69, AQSH, F. 24, D. 54/9, fl. 43. Per informacioni più dettagliati su questa lettera oramai pubblicata rimandiamo a Belluscio, 2022: 53-94.

  116. Lettera del 20 agosto 1869 a De Rada. La lettera contienne una ninna nanna in arbëresh scritta dal Nostro, e trascritta e pubblicata da Merita Sauku Bruci. Si veda: Bruci, 2019.

  117. Si veda: Fortino, 2004.

  118. La trascrizione dall’originale arbëresh è di Merita Sauku Bruci. La traduzione in italiano è di Oreste Parise.

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2023-12-03

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Parise , O., & Bruci, M. (2023). L’editio princeps di “Kënëkëz Pollithike”: (Canto politico) di Francesco Antonio Santori. Studime Filologjike, 1(3-4), 5–54. https://doi.org/10.62006/sf.v1i3-4.3035