L’editio princeps di “Kënëkëz pollithike” (Canto politico) di Francesco Antonio Santori

Autorët

  • Oreste Parise
  • Merita Sauku Bruci

DOI:

https://doi.org/10.62006/sf.v1i1-2.3084

Abstrakti

Kjo këngëzë politike (Kënëkëz pollithike) e Franqisk Anton Santorit vjen për herë të parë nën kujdesin tonë në versionin integral. Ky botim ndjek vazhdën e një fushate të rivlerësimit të prodhimit letrar të F. A. Santorit duke ia hequr pluhurin arkivor dhe duke e shpëtuar atë nga harresa. Vepra të pabotuara të tij që po shohin mundësinë e botimeve kritike hedhin një dritë të re mbi autorin, dhe na lejojnë ta vlerësojmë figurën e tij jo vetëm si letrar, por edhe si një vëzhgues i mprehtë politik që botën e sheh nga dritarja e një manastiri të humbur diku në Kalabri. Këndi i tij i vëzhgimit është shumë i ngushtë, por analizat e tij janë të mprehta dhe ia mbërrijnë të shprehin frymën e kohës së tij shumë më mirë se protagonistët aktivë, tepër të përfshirë me veprimet e tyre personale, aq sa arrin të ketë një vizion gjithëpërfshirës të ngjarjeve. Aftësia e tij parashikuese mbetet akoma një aspect pak i njohur i personalitetit të tij. Këngëza politike e Santorit është një akt dëshpërimi që shpreh të gjithë pakënaqësinë nga procesi i bashkimit të Italisë, rezultat i një lëvizje që njihet nën emrin Risorgimento italiane. Ky bashkim në jugun e Italisë solli zhgënjim, shfrytëzim ekonomik, humbje të shpresës për të ardhmen. Në këtë këngëzë shfaqet vetëm dëshpërimi pa një të ardhme. Zhgënjimi i popullsisë së Italisë së Jugut, sidomos i arbëreshve, qe i madh. Ata e kuptuan shpejt se ç’po ndodhte: përkeqësim i kushteve të jetesës dhe një karakter shtypës i politikës piemonteze e cila synonte të nënshtronte Jugun pa pyetur për pasojat shkatërruese që po shkaktonte kjo politikë e rrezikshme e një integrimi të sforcuar. Kundërshtimi u shfaq edhe në poezitë dhe këngët popullore në të gjithë Jugun me një numër të bollshëm krijimesh që shprehnin një protestë të ashpër e që këndoheshin nëpër sheshe e panaire. Kjo përhapje nuk u pa me sy të mirë, po nuk u ngrit në nivelin e shtypjes së dhunshme. Këngëza përmban 136 vargje, të ndara në 19 strofa me 8 vargje seicila. Sa i takon kohës së krijimit, të dhëna historike dhe zgjedhjet alfabetike të autorit tonë na ndihmojnë të shtrojmë hipotezën që vargjet e këngëzës janë shkruar, në mos më 1869, para ose pak kohë pas këtij viti.

Fjalët kyçe:

Santori, arbëresh, këngëzë politike, Risorxhimento italiane, kontekst, transkriptim teksti

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References

  1. Lettera di Giuseppe Garibaldi ad Adelaide Cairoli (Garibaldi, 1926: 114).

  2. La pubblicazione sonora del testo trascritto in arbëresh e della traduzione in italiano del testo della canzone sono consultabili online nei seguenti link: https://www.youtube.com/watch?v=Bx1tGwBooI8 https://www.youtube.com/watch?v=xj_cZPzF3KU

  3. È ancora da esplorare il suo “testamento politico”, che lo stesso Santori considerava come una folgorazione sulla via di Damasco. Negli ultimi anni della sua vita, ha ormai raggiunto la convinzione che bisogna abbandonare la strada della descrizione della realtà, una via sterile non in grado di mutare le condizioni sociali degli oppressi. Il suo fine era quello di costruire un futuro di equità e giustizia, un mondo dove anche l’ultimo membro della società avrebbe potuto trovare un brandello di umanità. Un nobile proposito maturato sul modello del socialismo utopistico che ha dovuto abbandonare soltanto per le precarie condizioni di salute che hanno caratterizzato l’ultimo tratto del suo percorso terreno.

  4. Parise-Belluscio, 2014.

  5. Santori, 2018. La nuova pregevole edizione è stata curata da Merita Sauku Bruci.

  6. In nessuna delle due opere compare un qualsiasi riferimento alle case regnanti, che siano i Borboni a Napoli, o i Savoia a Torino. Nel presente lavoro si farà sempre riferimento a Torino come capitale del Regno d’Italia, anche se dal febbraio del 1865 fino al febbraio del 1871 essa era stata trasferita a Firenze e poi definitivamente a Roma. La protesta non ha un interlocutore definito, non ha nome né volto, perché è rivolta al potere, al governo, allo Stato, ai grandi oligarchi che si sono impossessati dei destini dell’umanità sofferente, senza curarsi delle loro difficoltà e della miseria in cui l’hanno costretta. Non vi è traccia di identificazione nazionalistica, orgoglio di appartenenza o qualsiasi forma di retorica unitaria o di appartenenza storica. Il potere è brutale e viene esercitato sempre per perpetuare le condizioni di privilegio delle classi dominanti. Tutto è cambiato affinché tutto resti come prima, secondo la formula di Tomasi di Lampedusa.

  7. Si veda: Kodra, 2020:40-41.

  8. L’uso del dialetto esprime un sentimento personale e profondo che tocca l’anima: è privo della mediazione culturale, sgorga spontaneamente dal cuore eradicandone i convincimenti più nascosti. Il canto santoriano è scritto in un arbëresh genuino, nel registro linguistico della gente comune.

  9. In Calabria Citra si annoverano le seguenti sollevazioni di carattere politico: 1821, 1837, 1843, 1844, 1847, 1848. A queste bisogna aggiungere i terremoti, epidemie e carestie come il colera che generarono disordini. Dopo il 1848 il Regno cadde in uno stato di prostrazione, una tranquillità apparente sotto la quale covava un fuoco impetuoso. Nel 1852 Ferdinando IV visitò la Calabria, circondato da una diffidenza e da una scarsa partecipazione popolare. Essendo nato nel 1819 Santori era ancora un infante per avere un ricordo diretto dei moti del 1821, quando fu accordata la prima costituzione del Regno delle Due Sicilie, che durò solo qualche mese. Certamente però fu un episodio epocale di cui avrà sentito parlare frequentemente dello spergiuro del Re Borbonico che aveva minato alla radice la credibilità della famiglia reale. Molto più attiva e partecipata fu la sua attenzione nei moti successivi.

  10. Così erano chiamati gli abitanti del Regno di Napoli. Regni incola, poiché era il più onusto e importante regno della penisola italiana. Dopo l’Unità la denominazione si estese agli abitanti del Regno d’Italia.

  11. Kujt më jep buk i thom tat (Chiamo papa chi mi dà pane), recita un vecchio adagio arbëresh, ma resta comunque un attaccamento profondo me atdheun…

  12. Nella primavera del 1848 a Napoli si verificarono straordinari eventi politici. Si formò il primo (ed unico) governo “costituzionale” (di nomina e controllo regio). Presidente del Consiglio fu nominato un letterato e storico, Carlo Troya. Durò pochi mesi tra l’entusiasmo e l’eccitazione di tutto il Regno, diviso tra l’acclamazione dei riformatori e la cupa preoccupazione dei lealisti timorosi di perdere i loro secolari privilegi.

  13. Dopo il poco rassicurante autunno del ’47 che aveva visto sorgere la rivolta siciliana e calabrese, all’inizio del 1848 si assisté al miracolo della conversione costituzionale di Ferdinando II che però durò solo qualche mese conclusosi nell’autunno dello stesso anno con il massacro di Messina sottoposto a un disumano bombardamento. La ferocia napoletana valse al re il nomignolo dispregiativo di Re Bomba. Poco dopo Ferdinando IV si guadagnò la riconoscenza del mondo cattolico dando ospitalità a Pio IX, che fuggiva dai disordini sorti per la creazione della Repubblica Romana. Il sangue scorse a fiumi non solo sulle barricate cittadine, ma in tutte le province del Regno. La repressione colpì duramente tutte le manifestazioni antigovernative. Da allora ebbe inizio la persecuzione di tutti coloro che professavano idee liberali. Di fatto il regno borbonico divenne uno dei peggiori regimi polizieschi d’Europa, perdendo la sua reputazione internazionale. Non colse in tempo il rischio che l’isolamento diplomatico sarebbe stato determinante per la sua rovina. L’impresa garibaldina era di fatto un atto di pirateria. Il comportamento del Governo piemontese violava qualsiasi norma del diritto internazionale, invadendo territori di altri stati (come lo Stato Pontificio e lo stesso Regno delle Due Sicilie) senza alcuna dichiarazione dello stato di guerra e senza alcun casus belli. Per motivi diversi le grandi potenze europee assunsero un atteggiamento di tacito assenso in favore dell’aggressione piemontesi non tenendo in alcuna considerazione le proteste napoletane. Il millenario regno cadeva nell’indifferenza generale. Solo il Papa Pio IX protestò vigorosamente contro l’occupazione abusiva dei propri territori e per debito di riconoscenza verso i Borboni, memori dell’asilo ricevuto nel 1848-9 durante il suo esilio.

  14. Vedi: O. Parise; G. Belluscio, 2014.

  15. Dopo lo smantellamento delle barricate napoletane a Maggio, i moti popolari continuarono in Calabria, dove si registrò un alto numero di arbëresh che difendevano i principi costituzionali di libertà e giustizia. I principali capi erano Domenico Mauro, I fratelli Damis, Vincenzo Stratigò e numerosi altri lungresi che ebbero una strepitosa – ma purtroppo effimera – vittoria sui borbonici. Al sopraggiungere di numerose altre truppe vennero poi sconfitti in uno scontro che provocò una grande carneficina. La battaglia venne ricordata da Santori ne Il prigioniero politico nella scena conclusiva del romanzo.

  16. «I regii più barbari dei Cosacchi e degli Arabi, seviziavano i cadaveri, abbandonati sul terreno con le teste troncate, contusi di colpi sformati, pasto dei cani e delle belve feroci.», scriveva un testimone oculare. (G.V., 1882: 94). Le stesse barbare scene si ripetevano in tutta la Calabria.

  17. Ippolito Nievo, giovane e brillante scrittore, faceva parte dei Mille cui vennero affidati in prevalenza compiti amministrativi. Nel marzo 1861 l’incaricarono di relazionare sulla condotta finanziaria della spedizione garibaldina per le ricorrenti voci di furti, appropriazioni indebite, sparizione di ingenti somme di denaro. Egli assolse scrupolosamente l’incarico ricevuto e raccolse una ponderosa documentazione sulla gestione finanziaria dell’impresa (ricevute, fatture, lettere, denaro confiscato nelle banche siciliane e sul patrimonio di Garibaldi). I faldoni di documenti furono posti in una cassaforte sigillata che fu caricata sul piroscafo “Ercole”. In una splendida giornata di sole, il piroscafo fece naufragio portando con sé equipaggio, passeggeri e tutto il suo carico, inghiottito nelle profondità del Mar Tirreno. Di quello “strano” naufragio non si è riusciti a ricostruire la dinamica dell’incidente. Ancora oggi costituisce il primo mistero irrisolto del nuovo regno italico.

  18. Il foglio matricolare redatto per l’arruolamento nella Marina Mercantile nel 1833 (conservato nel Museo Navale di La Spezia) così lo descrive: “capelli e cigli rossicci – occhi castagni – fronte spaziosa – naso aquiline – bocca media – mento tondo – viso tondo – colorito naturale – segni particolari nulla”. «Garibaldi non poteva dirsi un ‘bell'uomo’, nel senso più usitato della parola. Era piccolo: aveva le gambe leggermente arcate dal di dentro all' infuori, e nemmeno il busto poteva dirsi una perfezione. Ma su quel corpo, non irregolare né sgraziato di certo, s' impostava una testa superba; una testa che aveva insieme, secondo l'istante in cui la si osservava e il sentimento che l’animava, del Giove Olimpico, del Cristo e del Leone, e di cui si potrebbe quasi affermare che nessuna madre partorì, nessun artista concepì mai l'eguale». (Guerzoni, vol. II 1882: 638)

  19. Brigante ai tempi del vicereame spagnolo, di cui rimane traccia nei racconti e nelle ballate popolari: un Robin Hood bruzio figura indelebile nella iconografia della regione. Rappresentava l’eroe buono e generoso, leale e coraggioso, diventato brigante per vendicare i soprusi della povera gente contro le prepotenze baronali. Otello Profazio ha raccolto una versione della ballata che ne racconta le gesta (https://www.youtube.com/watch?v=C0FEEgUE7Pc). Vedi: Parise, 2013a.

  20. Parise, 2013b.

  21. Misasi, 1906.

  22. La presenza di briganti nella Sila è attestata fin dai tempi più remoti tanto che la Calabria era nota come un paradiso terrestre abitato da diavoli. Il brigante era sempre un fuorilegge, un condannato per un reato grave, ma godeva di grande rispettabilità tra i popolani per il vecchio adagio per cui egli rubava ai ricchi per aiutare i poveri. Vi era una vasta letteratura che ne esaltava il coraggio e l’ansia di giustizia che li animava. Scriveva, ad esempio, Nicola Misasi: «Briganti: anime assetate di libertà e giustizia che sorgevano per difendere i deboli contro i forti, gli oppressi contro gli oppressori; che erano un prodotto del momento storico, dell’ambiente sociale; che avevano per teatro le loro gesta o i picchi inaccessibili e le gole profonde dei nevosi Pirenei, o le tenebrose e sacre foreste della Selva Nera, o le pinete della Sila ove trovò rifugio Spartaco fuggiasco. (Misasi, 1906: 1-2)

  23. Le biografie di Garibaldi scritte nel primo cinquantennio dopo l’impresa dei Mille sono tutte di carattere apologetico e si fermano alle sue eroiche gesta senza alcuna menzione del tormento senile per le condizioni in cui si era ridotto l’ex Regno delle Due Sicilie sotto il governo dei Savoia. Un esempio significativo è il libro di White Mario 1899.

  24. Un famoso adagio medioevale reso famoso da Benedetto Croce descriveva la Calabria come “un paradiso terrestre abitato da diavoli”, che egli utilizzò come titolo per un suo libro. Giuseppe Massari sostituiva abitato con governato, addossandone la responsabilità al cattivo governo degli ultimi secoli a cominciare dal vicereame spagnolo. (Massari 1849: 7) Dimenticava di dire che i subentranti Savoia non seppero fare di meglio che peggiorare drasticamente la loro condizione.

  25. De Witt, 1884: 387.

  26. L’organizzazione più potente era sicuramente la massoneria, a cui appartenevano tanto Garibaldi, quanto lo stesso Victor Hugo e molti intellettuali europei. Godeva simpatie e appoggi di una larga parte della politica e dei letterati. La manifestazione cui fa riferimento Dumas si svolse nell’isola di Jersey e vi presero parte molti importanti personaggi europei.

  27. Vedi: Dumas, 1860.

  28. L’anno successivo fu tradotta in inglese ed ebbe un clamoroso successo editoriale, che rese Garibaldi uno dei personaggi più noti e rispettati nel panorama politico europeo.

  29. De Witt avvertiva chiaramente il diverso atteggiamento tra le due parti del Paese. Nel Regno delle Due Sicilie la stragrande maggioranza della popolazione era lontana dall’idea di unità, anche se insoddisfatta del poliziesco governo borbonico: «Ma non tutti i figli d’Italia avevano preso parte attiva al nazionale riscatto; vi era la più ricca ed aprica parte della penisola che gemeva in ceppi siccome schiava del più callido console austriaco qual era il Borbone. Tale tiranno aveva abbruttito l’animo di gran parte delle popolazioni del suo regno in modo, che i napoletani si erano già dimenticati di essere i nepoti di Masaiello e di Giovanni da Procida.» (De Witt, 1884: 389)

  30. Dumas, 1882: XV.

  31. Maxime Du Camp, intellettuale, scrittore, fotografo francese, amico di Gustave Flaubert, si era arruolato nell’esercito garibaldino, scrisse in francese un resoconto di quell’evento, L'expédition des Deux Siciles, nel quale si legge: «Nous pouvons dire sans exagération que nous avons traversé les Calabres et la Basilicate au pas de course». (Du Camp, 1861: 174). La spedizione ebbe inizio il 6 maggio del 1860. Garibaldi arrivò a Napoli il 7 settembre. Vittorio Emanuele II entrò a Napoli il 7 novembre dello stesso anno.

  32. Du Camp, 1861: 210

  33. Al primo censimento dopo l’Unità, risultò che il 90% della popolazione maschile del Regno delle Due Sicilie era analfabeta e la percentuale saliva al 100% delle donne: solo poche migliaia sapevano leggere e scrivere: solo coloro che potevano permettersi un aio, poiché non vi erano scuole femminili.

  34. Du Camp, 1862. Il suo racconto era intriso di molta retorica e scarsa aderenza alla realtà.

  35. Pietro Calà Ulloa, uomo e letterato napoletano, fu ministro dell’ultimo governo di Francesco II, e premier del Governo borbonico in esilio. Scrisse numerosi saggi sull’ultimo periodo borbonico a Napoli.

  36. Calà Ulloa, 1864: 68. Lo stesso a. affermava poche pagine prima (p. 66): «Si è dimenticato l'insurrezione dei Calabresi, ed il sangue a torrenti versato allorché si sollevarono contro le falangi francesi?» Qualsiasi insofferenza popolare nei confronti degli invasori venne sempre classificata come atto brigantesco. Non si volle neanche considerare l’ipotesi che la rivolta contro il nuovo stato di cose potesse avere un carattere politico per le pesante condizioni imposte alle genti meridionali che videro peggiorare indrasticamente le loro già precarie condizioni materiali.

  37. Du Camp, 1862.

  38. Sono due dei principali personaggi dell’opera. (Santori, 2018: 301).

  39. Calà Ulloa, 1864: 108. La tesi del “Times” era che il Piemonte considerava la conquista del Regno delle Due Sicilie come un territorio coloniale: Vittorio Emanuele si rifiutò di nominarsi primo re d’Italia, ma continuò a chiamarsi Vittorio Emanuele II (conservando la numerazione dei sovrani del Regno di Sardegna), così come la prima sessione del Parlamento italiano era l’ottava, in riferimento al Parlamento sabaudo. Particolari che possono considerarsi insignificanti, ma di elevato contenuto simbolico, tanto che il processo di “unificazione” venne percepito e denominato “piemontesizzazione” e non “italianizzazione” culturale e istituzionale. La questione fu aspramente dibattuta nella seduta inaugurale del nuovo Regno d’Italia il 17 marzo del 1861.

  40. La stessa opinione è stata recentemente sostenuta da Ida Magli, 2005.

  41. Calà Ulloa, 1864: 65.

  42. Veneziani, 2021: https://www.marcelloveneziani.com/articoli/dostoevskij-contro-litalietta-e-i-progressisti/.

  43. Whitehouse (1899: 12) la chiama “Garibaldi's filibustering expedition to Sicily”.

  44. Nonostante queste palesi violazioni, prevalse il principio romantico della nazionalità su quello ben più pregnante della legittimità dell’intervento. Ben presto il Regno d’Italia fu riconosciuto dalle principali potenze europee, a cominciare dall’Inghilterra il 30 marzo 1861, cui seguirono la Svizzera, gli Stati Uniti, la Francia, cui si accodarono tutti gli altri. L’ultima fu l’Impero Austro-ungarico nel 1866. ecc., Per lo Stato Pontificio bisognerà attendere il Concordato del 1929.

  45. Sorella della più nota principessa Elisabetta Amalia Eugenia di Wittelsbach, conosciuta con il soprannome di Sissi. La figura di Maria Sofia è indissolubilmente legata all’eroico comportamento da lei tenuto nell’assedio di Gaeta, ammirato in tutta Europa.

  46. Il Regno delle Due Sicilie era attorniato dal mare presidiato dalla potente marina napoletana e al nord confinava con lo Stato pontificio, inviolabile perché chiunque avesse osato invaderlo, sarebbe stato fulminato da pronta scomunica. I liberali piemontesi – da veri liberali anticlericali – non ebbero alcuna difficoltà a violare il diritto ecclesiastico e quello internazionale.

  47. Lombroso, 1898: 87-88.

  48. Curiosamente anche i garibaldini si affrettarono ad aprire le prigioni per fare uscire i detenuti senza alcuna distinzione tra condannati comuni e condannati politici. Alcuni si aggregarono ai garibaldini, ma la maggioranza di essi finì per ingrossare le fila dei briganti.

  49. Il suggerimento proveniva da Napoleone III, ma Francesco II agì con molto ritardo quando già il processo era in stato avanzato e la richiesta di aiuto fu lasciato cadere senza alcuna risposta.

  50. La rappresentazione del Sud come un paese ricco di risorse solo avvilito dal cattivo governo di Borboni era molto diffusa per giustificare l’accanimento contro i Borboni, soli responsabili del degrado. Sarebbe stato sufficiente qualche anno di buon governo per provocare un formidabile boom economico. Nulla era più lontano dalla realtà. I grandi latifondi baronali ed ecclesiastici, l’impaludamento delle pianure che rendeva l’area mefitica, la mancanza di strade di comunicazione, la desertificazione delle marine, la persistenza degli usi e costumi feudali, l’iniquità della tassazione avevano impoverito la regione. Sarebbe stata necessaria una coraggiosa azione di governo per sprigionare le grandi potenzialità che nei secoli si erano perdute. I Borboni erano sicuramente colpevoli dell’abbandono in cui avevano lasciato le provincie, ma i Savoia non fecero di meglio. Bisognerà aspettare la fine della seconda guerra mondiale per l’approvazione di una organica riforma agraria, che non diede i risultati sperati perché giunge troppo tardi con uno sguardo rivolto al passato. Nacque vecchia! La condizione della capitale nel 1861 è descritta in toni drammatici nella relazione di Raffaele Nigra inviato appositamente da Cavour a Napoli.

  51. D’Azeglio, vol. II 1872: 471.

  52. Da un punto di vista pratico, le monete circolanti erano d’argento, poiché quelle auree erano tesaurizzate, in perfetta applicazione della legge di Gresham, secondo la quale la moneta cattiva scaccia la buona.

  53. Napoli era una città cosmopolita, la terza d’Europa per popolazione, con una vivacità culturale elevata, una vita mondana molto movimentata per gli spettacoli teatrali, musicali e ogni altro genere di intrattenimento. Godeva inoltre di grandi benefici fiscali e il suo mantenimento gravava sul resto del territorio, un corpo gracile povero e miserevole colpito da frequenti disastri naturali e ricorrenti epidemie sanitarie. Nei viaggi organizzati da Ferdinando II lo stato di degrado e di abbandono erano apparsi in tutta la loro drammatica tragicità, senza che questo avesse indotto il sovrano a modificare la sua politica.

  54. L’antica Leucopetra, favolosa residenza di Coriolano Martirano, segretario di Carlo V dove soggiornò nel suo viaggio in Calabria. Devastata da un vasto incendio, fu chiamata Petrarsa. L’edificio ricostruito fu destinato alla produzione di carrozze ferroviarie di lusso, famose in tutta Europa, destinate alle case regnanti.

  55. Cardinali, vol.1, 1862: 85.

  56. Terreni di proprietà privata non gravati da servitù prediali. «Allodiali dicevansi quelli che stavano nel dominio dei particolari, i quali non cadevano sotto le disposizioni delle leggi, che miravano ai feudatari.» (Jeno de’ Coronei, 1847: XXIX).

  57. A Catanzaro, in Via Francesco Crispi, è ancora in attività il Commissario per la liquidazione degli usi civici, istituito nel 1927 per risolvere le numerose vertenze sorte per la definizione dei diritti su terreni ex feudali o appartenenti al demanio, dove proseguono il loro faticoso iter procedimenti iniziati persino dal XVIII secolo.

  58. Grimaldi, 1863: 28.

  59. Vedi: Guyau, 1898.

  60. Ibidem p. 82.

  61. La ricostruzione fu un successo, mentre la questione agraria incontrò una durissima resistenza da parte dei vecchi baroni. Di fatto si risolse nella nascita di una nuova classe di latifondisti e titoli e feudi divennero beni economici venduti dal sovrano per sopperire alle sue necessità finanziarie.

  62. Ibidem 1863: 52.

  63. Il sistema feudale era di carattere prevalentemente pubblico, basato sul sistema di investitura regia, e la concessione di un insieme di diritti ai cives, per garantire la loro sopravvivenza.

  64. Grimaldi, 1863: 83.

  65. La legge di eversione della feudalità fu dapprima approvata da Giuseppe Bonaparte e in seguito Gioacchino Murat emanò i decreti di attuazione.

  66. In assenza di un Registro pubblico, gli atti di trasferimento fondiari erano conservati negli studi notarili, che erano manipolabili dai notai o i loro eredi, appartenenti alle classi abbienti. I servi della gleba, poveri ed analfabeti dovevano fidarsi di essi per il riconoscimento dei loro diritti. Un confronto impari e dall’esito scontato.

  67. Il problema della Sila preoccupava Murat, che la considerava un ricettacolo di briganti a causa della scarsità della popolazione «studiando sempre sul modo come estirpar quella mala pianta, decretava: che nella Sila si fondassero cinque villaggi ciascuno di 10 a 150 abitazioni, atti a popolar que' luoghi selvaggi, e a porre in fuga da quegli impenetrabili boschi que' facinorosi che muoveangli così ostinata ed aperta Guerra.» (Andreotti,vol. III 1978: 146)

  68. All’atto della investitura il feudatario paga il laudemio e in cambio riceve il potere di amministrare il feudo, che è un diritto non trasmissibile in via successoria, ma abbisogna di un nuovo atto sovrano. Di fatto, la trasmissione avviene dietro il pagamento di una tassa – il relevio.

  69. Benché la legge avesse un carattere locale poiché regolamentava solo la sistemazione fondiaria dell’altopiano della Sila, mostrava con chiarezza qual era l’approccio dei Borboni sulla feudalità. Il particulare venne considerato come la minaccia che lo stesso trattamento sarebbe stato adottato nella legge generale.

  70. Gli usi civici si esercitavano su grandi proprietà comuni (demani, feudi) la cui suddivisione richiedeva la loro abolizione e la distribuzione agli abitanti cui spettava il diritto.

  71. Guarasci, 2017: 53. I galantuomini erano i borghesi sorti sfruttando le opportunità offerte dal mercato chiuso i quali “vivevano del proprio” ed erano esentati dalle imposte.

  72. Le difese (o camere chiuse) erano i boschi da sfruttare unicamente per le costruzioni navali e i bisogni dello Stato, come la produzione di carbone necessario per le industrie come le ferriere della Mongiana. (Guarasci, 2017: 82)

  73. Le chiuse erano terreni demaniali o feudali recintati con siepi, cippi, palizzate o altro soggette spesso a opere di trasformazione agraria frutto di un processo di usurpazione da parte del barone, sulle quali veniva impedito l’esercizio degli usi civici.

  74. L’allodio era una proprietà privata fin dall’origine, per atto di compravendita o successione ereditaria. Spesso gli atti relativi erano costruiti ad arte da notai compiacenti e imposti per vim et metum alle universitas inermi di fronte alla prepotenza baronale.

  75. La commenda era il beneficio di godere la rendita di una abbazia o di un tenimento fondiario concesso a un abate o anche un laico. Nel Corso dei secoli la chiesa accumulò un immense patrimonio fondiario per effetto dei lasciti testamentari in devozione, o per grazia ricevuta, che costituivano la manomorta ecclesiastica, utilizzata per la Fondazione di conventi, monasteri, abbazie, chiese etc. I terreni residui venivano gestiti in commendam. I commendatori usufruttuari godevano delle rendite, ma la gestione era affidata a un tenutario. Le commende erano allodi molto estesi privi di servitù, salvo non intervenisse un capitolato con le universitas che ne regolamentava l’uso.

  76. Goyau, 1898: 83.

  77. De Witt, 1884: 387.

  78. Intellettuale, medico e pittore francese amico di Gustave Flaubert con il quale condivise molte avventure letterarie, che partecipò alla impresa garibaldina lasciandone un appassionato resoconto – L'expédition des Deux Siciles – la sola sua opera tradotta in italiano. Amante dei viaggi, aveva una grande ammirazione per l’eroe dei due mondi.

  79. Du Camp, 1862: 7.

  80. Scarpino, 1988: 23.

  81. Così si chiamavano i soldati provenienti dal disciolto esercito borbonico. (De Witt, 1884: 7).

  82. Una delle pagine più ingloriose del Risorgimento fu proprio il trattamento riservato ai soldati borbonici, molti dei quali furono destinati in veri e propri campi di concentramento come la famigerata Fortezza di Fenestrelle. Di recente Alessandro Barbero ha scritto una inchiesta-verità sull’argomento, vedi (Barbero, 2014).

  83. Nel discorso di insediamento nel Parlamento Nazionale, Garibaldi dichiarò: «Lo stato deplorabile dell'Italia meridionale e lo abbandono in cui si trovano cosi ingiustamente i valorosi miei compagni d'armi, mi hanno veramente commosso di sdegno verso coloro che furono causa di tanti disordini e di tanta ingiustizia.» (Balbiani, v. 2 1872: 731).

  84. Come nota Francesco Saverio Nitti, il quale a proposito della borghesia notava il suo carattere parassitario: «…una borghesia, nata non già dal traffico e dalla industria, ma da tre funzioni che la rendevano ugualmente odiosa al popolo: l'intermediarismo agrario, il piccolo commercio del danaro, le professioni liberali e sopra tutto l'avvocatura.» (Nitti, 1887)

  85. Per maggiori informazioni consultare Pellicano, 1996.

  86. Francesco Sprovieri, nato ad Acri da una arbëresh della famiglia Mayerà di Cerzeto, che aveva intrapreso la carriera militare e per questo Garibaldi gli affidò il commando di un reggimento. Scrive nelle sue memorie: «E perché sapevo bene l'albanese, che era la lingua di mia madre, albanese anch'essa, e con la quale balbettai le prime sante parole di affetto». (Sprovieri, 1894: 32).

  87. Non erano tutti arbëresh, ovviamente, ma il loro ruolo fu determinante, vedi oltre.

  88. Giuseppe Cesare Abba scrive: «la terza [compagnia] poteva dirsi dei calabresi perché di Calabria erano il barone Stocco che la comandava, verde vecchio di cinquantaquattro anni, e Francesco Sprovieri, Stanislao Lamensa, Raffaele Piccoli, Antonio Santelmo suoi ufficiali. V'erano inquadrati degli uomini insigni come Cesare Braico, Vincenzo Caronelli, Domenico Damis, Domenico e Raffaele Mauro fratelli, Nicolò Mignogna, Antonio Plutino, Luigi Miceli; e avvocati e medici e ingegneri, e futuri deputati, senatori, ministri e generali, tutti fra i trentacinque e i cinquant'anni, tutti di Calabria e di Puglia. Pareva la compagnia dei savi!» (Abba, 1926: 27).

  89. Sprovieri, 1894: 81.

  90. Francesco II ebbe la sensazione che il suo regno vacillasse. Aveva ordinato operazioni di leva per rafforzare l’esercito senza tuttavia infierire su coloro che non risposero all’appello. I piemontesi furono molto più severi nei confronti dei renitenti, che non si presentavano alla chiamata. I soldati borbonici furono dichiarati disertori e assoggettati alla legge marziale. Quando catturati venivano fucilati senza alcun processo.

  91. Il rigore usato per i renitenti era considerato odioso e inaccettabile dalla stragrande maggioranza dei regnicoli, e fu oggetto di attenzione da parte dei cantori popolari. Una canzone anonima siciliana del periodo, ripresa da Otello Profazio, https://www.youtube.com/watch?v=lc54CRIX38Y) recitava così:

  92. Vulemu a Garibaldi Vogliamo Garibaldi

  93. Però senza la leva però senza la leva.

  94. E s'iddu fa la leva Se lui fa la leva

  95. canciamu la bannera! Cambiamo la bandiera!

  96. In Sicilia fu inviato il generale Giuseppe Govone che introdusse una dittatura militare con rastrellamenti di renitenti, evasi e pregiudicati puniti con processi sommari ed esecuzioni immediate.

  97. De Witt, 1884: 115-6. I territori occupati furono subito sottoposti alla giustizia militare senza alcuna garanzia per gli accusati.

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2023-12-05

Si të citoni

Parise , O., & Bruci, M. (2023). L’editio princeps di “Kënëkëz pollithike” (Canto politico) di Francesco Antonio Santori. Studime Filologjike, 1(1-2), 5–36. https://doi.org/10.62006/sf.v1i1-2.3084